mercoledì, dicembre 10, 2014

Democrazia ed antipolitica

L’astensionismo, come il voto di protesta, specie se diretto verso formazioni ‘antisistema’, trova una sua spiegazione nella costatazione che le formazioni politiche di governo, ma anche quelle all’opposizione, ma con concrete possibilità di tornare al governo (o parteciparvi: da qualche anno il confine tra governo ed opposizione non è tanto chiaro), non fanno gli interessi degli elettori, dei cittadini che contribuiscono alle spese dello stato pagando le tasse, ma sono invece assai sensibili alle richieste che provengono dai gruppi industriali, dal credito, dalle lobbies organizzate.

Secondo questa logica il voto è inutile: qualunque partito, al governo, non farebbe gli interessi del corpo elettorale, dunque perché votare, a meno che non appaia un competitore che si presenti con una logica di rottura: Ukip, la Lega delle origini, il M5S, almeno fino a che non cominciano ad ammorbidirsi.

Quindi la giustificazione spesso utilizzata (i commentatori che sostengono che la gente non ha votato perché non crede nelle Province o nelle Regioni) non regge. La forza di Renzi è consistita, finora, nel presentarsi come il campione dell’antipolitica (anche se sembra paradossale) ed ha riscosso consenso finché ha dichiarato di voler distruggere la classe dirigente precedente.

Ma la distruzione delle istituzioni, locali e nazionali, non significa affatto l’abbattimento della classe dirigente a cui, abbastanza comprensibilmente, si attribuisce la rovina del Paese.

Paradossalmente, invece, con l’abolizione di alcune assemblee elettive si sta realizzando una situazione in cui la classe dirigente non eletta rafforzerà la propria posizione, diventando pressoché inamovibile.